Francesca Clapcich, dalle derive al giro del mondo in equipaggio: una delle poche veliste italiane ad aver partecipato alla Volvo Ocean Race. Sperimentazione e ricerca sono il fil rouge della sua vita e con la sua allegria e professionalità mantiene una promessa molto speciale.

Genova si prepara nel 2022 ad ospitare l’arrivo del più importante ed estremo giro del mondo a tappe, in equipaggio: la Volvo Ocean Race. Francesca insieme ad altri velisti italiani sta lavorando per realizzare un sogno: un team tutto italiano da schierare sulla linea di partenza, ad Alicante. Il tempo stringe, la partenza è prevista per ottobre 2021 e speriamo che anche gli italiani possano dimostrare la loro vocazione di navigatori.
Francesca Clapcich si racconta
Francesca Clapcich si è formata come velista italiana sulle derive, com’è avvenuto il passaggio alla Volvo Ocean Race?
“Oltre alle derive, da ragazzina avevo partecipato al giro d’Italia a vela con l’Istituto Nautico. Il coraggioso professor Filippi portava in giro per un mese una decina di studenti e devo dire che questa esperienza mi ha segnato. C’erano i più bravi velisti italiani in gara e le regate erano tirate, anche altri miei compagni di scuola hanno proseguito la strada della vela.

Un serie di fortunati eventi mi ha portato ad essere al posto giusto al momento giusto ed avere l’opportunità di entrare nel gotha della vela oceanica. “Ocean Race” aveva messo per la prima volta una clausola al regolamento: i team che avevano delle quote rosa potevano imbarcare più equipaggio. Maciel Cichetti, argentino molto conosciuto nel giro della vela e tra i velisti italiani stava tentando di organizzare una squadra di bandiera italiana.
A causa di un problema di sponsor non è andato in porto il progetto di un team italiano. Gli organizzatori hanno voluto darmi comunque la possibilità di partecipare alla regata: tramite vari contatti avevo un trial con Brunel e con Turn the Tide” racconta la velista italiana.
Francesca Clapcich: il trial a Lisbona
“A Lisbona sono uscita in mare con Turn the Tide, erano i primi disponibili alla prova, e rientrati mi hanno offerto un contratto. Ho accettato, senza fare la prova con Brunel; mi piaceva quella squadra giovane e la possibilità di avere un ruolo attivo nonostante fossi una debuttante. L’avventura è iniziata in modo inaspettato: pensando di fare una prova di qualche giorno, alla fine sono rimasta a Lisbona ad allenarmi con il team.”

Turn the Tide On Plastic
Dee Caffari la plurititolata skipper inglese ha scelto un equipaggio in prevalenza sotto i trent’anni, di nazionalità ed esperienza variegata. Due messaggi importanti animano la squadra: Progetto Turn the Tide on Plastic, per la sostenibilità ambientale e la parità di uomini e donne a bordo.
I principali partner del team sono la Mirpuri Foundation e l’Ocean Family Foundation che si occupano della salvaguardia e della salute del mare. Il problema delle plastiche nel mare è il messaggio che la squadra portava in giro per il pianeta.

“A bordo avevamo un sistema per misurare le microplastiche nei mari attraverso dei filtri. Abbiamo partecipato a progetti di ricerca meteomarina in luoghi remoti: dovevamo lasciare delle celle di studio ad latitudini estreme, che non sono praticate dai ricercatori.
Ognuno di noi cambiava i filtri, bisognava usare le pinze per rimuoverli e in alcune condizioni non era facile. I dati sono stati sfortunatamente interessanti: le micro plastiche sono dovunque, magari non visibilmente, ma ce ne sono grandi quantità. In certi punti di ricircolo delle correnti si vedono proprio cumuli di plastica che galleggiano” ci svela Francesca Clapcich
La vita a bordo durante la circumnavigazione
Nell’edizione 2017-’18, sette equipaggo, sette barche, i VO65 di Farr Yacht Design, si sono sfidate in dodici tappe di trasferimento negli oceani più estremi. Fra questi anche la nostra velista italiana Francesca Clapcich.
Come gestivate la vita a bordo: i turni per riprendere le forze, il cibo per non caricare comunque troppo peso?
“Avevamo un sistema di turnazioni, avrei dovuto saltare tre tappe ma poi Dee era contenta di me e ne ho saltata solo una. Comunque quando entrava in equipaggio una persona che era off nella tappa precedente portava tanta energia e freschezza a tutti noi.
I turni a bordo erano di quattro ore: in condizioni normali le quattro ore erano sovrapposte, permettendo a tutti di riposare in modo equilibrato. Quando ci trovavamo in situazioni meteo variabili mantenevamo le quattro ore di lavoro, poi un’ora di stand-by, due riposo e una stand-by” spiega la velista italiana.

La cambusa
“Nel team c’era una gerarchia: skipper, navigatore, due Watch Captain e il resto dell’equipaggio: durante i briefing tutti venivano messi al corrente delle condizioni meteo. Io mi interfacciavo sempre con il navigatore per stabilire quattro giorni prima della partenza il tempo stimato di percorrenza della tappa per la cambusa.
Per una questione di peso portavamo sempre la quantità giusta di cibo e se ritardavamo, come è successo nei Doldrums dovevamo razionare. Di norma erano previsti tre pasti di liofilizzati al giorno, più due barrette a testa: avevamo porzioni monodose per calibrare le calorie per ognuno.

Avevamo anche una confezione di nutella e una di burro d’arachidi per tappa: nelle occasioni speciali come i compleanni portavamo della cioccolata. A Natale, prima dell’arrivo a Melbourne avevamo portato dei piccoli regali da scambiarci per rendere un po’ diversa la giornata.”
Francesca Clapcich: Qualche dietro le quinte
“Ci sono anche dei dietro le quinte, alla fine in mare ci combattevamo ma c’era un bellissimo clima anche tra gli equipaggi. A metà giro eravamo già tutti stufi dei nostri “papponi” liofilizzati, allora ci scambiavamo tra i team le buste per cambiare gusto. Diciamo che il cibo serviva allo scopo di nutrire ma non proprio soddisfare il gusto, vorrei vedere altri velisti italiani.”

Momenti speciali per la velista italiana Francesca Clapcich
Quali momenti di questa prima circumnavigazione sono particolarmente impressi nella tua memoria e nel tuo cuore?
“Momenti in mare: sicuramente la tappa da Lisbona a Città del Capo, la prima, è stata la mia preferita. A Lisbona avevo un po’ di timore prima della partenza e provavo una grande emozione: mi stavo imbarcando per una grande avventura.

Settemila miglia nelle condizioni più disparate: l’attraversamento dell’Equatore, l’ingresso nel Southern Ocean per arrivare a Città del Capo. Abbiamo vissuto il caldo, il freddo, è una tappa che ti immerge nella vera navigazione oceanica. Città del Capo mi è piaciuta molto e arrivarci via mare è molto suggestivo, una bella prima tappa” ricorda Francesca Clapcich
I momenti difficili in una circumnavigazione
Qual è stato il momento più duro per te e per l’equipaggio, avete affrontato particolari difficoltà?
“La tappa più dura è stata quella da Auckland, Nuova Zelanda a Tajaì, Brasile con il passaggio a Capo Horn. Quando abbiamo saputo che il team Sun Hung Kail/Scallywag aveva perso un uomo a mare, John Fisher, 47 anni, è stato un brutto colpo” racconta la velista italiana.
“Ti immedesimi nelle condizioni che stanno vivendo i compagni, è un tuo compagno di squadra, noi avevamo fatto anche i corsi di sicurezza insieme. Prima di partire per le tappe bevevamo l’ultimo espresso insieme, da buona velista italiana: mi ha colpito molto quello che è successo.

Le condizioni nel Southern Ocean sono state le più dure nella storia delle regata per media ed intensità di vento, per altezza delle onde. È stata un tappa difficile, undici giorni con mai meno di trenta nodi: abbiamo avuto problemi all’albero e abbiamo dovuto ammainare la randa. Sono arrivata a Capo Horn sfinita: girato il capo c’è abbastanza calma, è stato un sollievo, lo si leggeva anche nel viso della nostra skipper” ricorda la Francesca Clapcich
La forza della skipper Dee Caffari
Cosa pensi della skipper Dee Caffari e com’era la gestione di un equipaggio alla Volvo Ocean Race?
“Dee Caffari è una persona sempre molto positiva e sempre a suo agio in mare anche nelle condizioni più difficili. Forse ha dei limiti nella performance tecnica perché ha fatto molta navigazione ma poche regate” ci svela la velista italiana.

“Sono contenta di aver fatto il giro del mondo con lei: ha saputo prendere decisioni difficili come andare più a nord nella tappa seconda tappa. Era la prima volta che molti affrontavano l’Oceano Indiano e ha scelto condizioni di mare e vento migliori per un team giovane e inesperto. Non abbiamo avuto grossi problemi sia per l’equipaggio, sia per la barca, non abbiamo rotto niente, nonostante a volte sia difficile prendere le decisioni” ci spiega Francesca Clapcich.

“A posteriori è stata la tattica giusta che ci ha fatto arrivare prepararti e consapevoli alla tappa da Auckland a Itajaì. Sapevamo quanto spingere la barca ed eravamo anche in una buona posizione, davanti a lottare con i team più forti. Quindi ammiro molto Dee che ha fatto anche una circumnavigazione in solitario al contrario: ha preso delle scelte coraggiose e sempre giuste” racconta la velista italiana.
I momenti più belli alla Volvo Ocean Race per Francesca Clapcich
Qual è stato il momento più bello che ricorderai durante questo primo tuo giro del mondo?
“Il momento più bello è stato sicuramente la partenza ad Alicante: è molto emozionante, è la partenza di tutto, un grande festa. Saluti tutte le persone a cui vuoi bene, ci sono tanti spettatori, l’emozione è forte per tutti.

Anche l’arrivo è stato un momento importante a livello di team, sai che è finita una grande tappa della tua vita. Hai condiviso un anno con i ragazzi del team, è un ricordo indelebile” racconta la velista italiana.
Velisti italiani: Francesca Clapich – Gli inizi della carriera sulle derive
Francesca Clapcich si è formata sulle derive e la sua grande preparazione tecnica e fisica l’ha agevolata anche nelle regate offshore.
Quali sono stati i primi passi in barca a vela e quali sono le tappe importanti della tua carriera?
“Ho inziato a fare vela al Circolo Pietas Julia di Sistiana, avevo scelto l’Europa che era il singolo per eccellenza per le ragazze. Sono molto grata a tutti gli istruttori e ai membri del direttivo perché mi hanno sempre sostenuta anche se ero l’unica della classe Europa.

È un circolo piccolo ma di persone “d’oro”: ancora oggi sono tesserata e porto per il mondo i colori della Pietas Julia. Quando la classe Europa è stata sostituita dal Laser per le Olimpiadi del 2008 ho cambiato classe” racconta la velista italiana.
Gli anni in aeronautica Militare e le Olimpiadi
“Ho deciso di impegnarmi professionalmente e nel 2008 a vent’anni ho fatto un concorso per entrare in Aeronautica Militare come altri velisti italiani. Dapprima sono entrata come volontaria e poi tramite un concorso indetto dallo Stato Maggiore ho prolungato la ferma nel gruppo sportivo: sono rimasta nove anni.

Ho vinto le selezioni per le Olimpiadi del 2012 in Laser e poi ho continuato con Giulia Conti la campagna del 2016 sul 49er. Nel 2015 abbiamo vinto il Campionato Europeo e Mondiale, eravamo sempre nei primi cinque al mondo negli ultimi due anni del quadriennio olimpico.

Ci è mancata quella scintilla in più alle Olimpiadi e a causa di una tattica conservativa all’inizio, abbiamo chiuso quinte. Forse il mio unico rimpianto è quello di non aver vinto una medaglia a Rio non solo per il sogno ma perché avevamo la capacità” ci svela Francesca Clapich.
La velista italiana Francesca Clapcich e gli anni del 49er
“Comunque ho dei bellissimi ricordi di quegli anni: sia io che Giulia, prima campionessa sui 470, avevamo trovato nel 49er la nostra barca su misura. Io faticavo a mantenere il peso per il Laser e dovevo prendere peso mentre lei per timonare il 470 era continuamente a dieta.

Inoltre desideravo allargare i miei orizzonti, provare una barca più moderna e trovare nuove motivazioni per confrontarmi con altri velisti italiani e stranieri. Per me è stata una grande sfida fisicamente e per Giulia tecnicamente: mi piaceva lavorare in team dopo tanti anni da solista.

Sono grata all’Aeronautica Militare per l’appoggio e la fiducia ricevuta: quando abbiamo iniziato la campagna ci hanno comprato subito una barca per allenarci. Ci hanno supportato ad ogni passo nonostante Giulia fosse una civile, poi però prima del giro del mondo mi è sembrato giusto congedarmi. Eticamente non mi sembrava giusto essere una velista italiana delle forze armate che faceva regate a livello professionale altrove” aggiunge Francesca Clapich.
Vela ma anche sci
“Mi è sempre piaciuto anche sciare e poi da ragazza avevo preferito la vela anche per una comodità geografica visto che vivevo a Trieste. Quando abbiamo iniziato la nostra campagna ci allenavamo sul Lago di Garda, dove il vento è ideale e i genitori di Giulia hanno casa.

Ma fa freddissimo, alcuni giorni ci svegliavamo e nevicava così montavamo in auto e andavamo a Madonna di Campiglio a sciare. Era divertente e ci ha aiutato ad affiatarci ancora di più tra di noi e a non stressarci fin da subito per la campagna olimpica” racconta la velista italiana.
La passione per il mare di Francesca Clapcich e la promessa
Da dove nasce la tua passione per il mare, oltre alla tua città natale chi ti ha ispirato?
“Praticamente sono nata in barca: a pochi mesi di vita i miei genitori che avevano un Dufour di sette metri mi portavano in mare. Mio papà aveva adattato una culla con degli elastici in maniera che loro potessero manovrare ed io fossi cullata dalle onde.
Passavamo sempre le estati tra la barca e la società nautica: mi ero avvicinata alla vela più per stare insieme agli amici. Per dir la verità la mia passione era sciare, spesso nei fine settimana andavamo a sciare poi però era un sacrificio fare le trasferte.

Purtroppo quando avevo undici anni mio papà si è ammalato di cancro e stavamo al Circolo per fargli passare le giornate senza pensarci troppo. Mio papà mi ha trasmesso la passione per lo sport: prima che stesse molto male aveva comprato un Europa. L’aveva portato al Circolo su una piccola Jeep Suzuki, sembrava l’auto di Topolino con questo albero infinito che non si poteva smontare.
Quando lui è mancato ho quasi fatto una promessa con me stessa: “Dai continuo con queste barchette.”

La sua passione, la sua tenacia e il suo grande impegno hanno portato Francesca Clapcich molto lontano a vedere gli albatros volare nel Southern Ocean. E forse uno avrà raccontato a suo papà di averla vista, diventata una grande persona e velista italiana ma soprattutto un vero marinaio.
“Come la bianca ala dell’albatros sul monotono respiro del Pacifico, così, vagabonda per vagare, va la vela del vero marinaio.” (Corto Maltese)