@Christophe Favreau/GGR/PPL courtesy of Jean-Luc Van Den Heede
Una lunga intervista a Jean-Luc Van Den Heede, l’Ultimo lupo di mare, l’uomo dei record e della “lunga rotta” che ci parla della madre delle circumnavigazioni in solitario senza scalo. Un’analisi approfondita del navigare in solitario e delle problematiche da affrontare come il cibo ed il sonno. Il messaggio finale da cogliere è l’importanza di avere una passione nella vita e di conservare sempre l’ottimismo.

Jean-Luc Van Den Heede e la Golden Globe Race
Una voce speciale ci parla della regata madre di tutte le circumnavigazioni a vela in solitario e senza scalo. La voce di chi fu spettatore nella prima edizione del 1968 perché ancora giovane ed è protagonista nella replica del 2018, vincendola a 73 anni. La voce dell’“Ultimo lupo di mare” come si definisce Jean-Luc Van Den Heede nell’ultimo libro che uscirà presto tradotto in italiano dalla casa editrice Edizioni Mare Verticale.
La voce di Jean-Luc Van Den Heede, due occhi azzurri pieni di cielo e il viso segnato da tutte le onde che ha cavalcato. In Francia non ha bisogno di presentazioni ma forse in Italia non tutti lo conoscono. Nato ad Amiens l’8 giugno 1945, viene allevato nei primi anni di vita dai nonni a Berk. Vand Den Heede, come l’hanno soprannominato, è “il navigatore delle prime volte”: infatti partecipò alla prima edizione della Mini Transat e al primo Vendée Globe.

Ha doppiato dodici volte Capo Horn, completato sei giri del mondo in solitario di cui una circumnavigazione in senso contrario con un record imbattuto. A 73 anni non smette di stupire e conclude vincitore il giro del mondo in barca a vela, senza scalo ed assistenza. La Golden Globe Race ha consacrato 50 anni fa velisti come Robin Knox-Johnston e Bernard Moitessier, oggi premia Jean Luc Van Den Heede.
Palmares di Jean-Luc Van Den Heede
1977 : 2° alla prima edizione della Mini Transat
1979 : 2° alla Mini Transat
1986 : 2° al BOC Challenge su Let’s Go
1990 : 3° al Vendée Globe su 3615 MET
1993 : 2° al Vendée Globe su Sofap Helvim
1993 : 4° alla Transat Jacques Vabre
1995 : 3° al BOC Challenge su Vendée Entreprises
1998 : 2° classe IMOCA alla Route du Rhum su Algimouss
2004 : Record di circumnavigazione da ovest ed est in 122gg 14h 3min 49s
2019 : Vincitore Golden Globe Race 2018 in 211gg
L’intervista – Tutte le regate di Jean-Luc Van Den Heede
In una lunga intervista Monsieur Jean-Lu Van Den Heede si svela con voce profonda, risate sincere e la semplicità propria dei grandi uomini che hanno fatto la storia.

Come è nata la sua passione per il mare?
Come tanti bambini andavo al mare, a Berk sur mer, nel nord della Francia, dov’erano originari i miei nonni che mi hanno cresciuto. Il primo gioco che ricordo era una piccola barca che mettevo in acqua e immaginavo cavalcasse le onde. In seguito i libri mi hanno portato ad amare il mare: da bambino ho trovato per caso il libro di Alain Gerbault. Era un tennista, appassionato di mare che comprò una barca ed attraversò da solo l’Atlantico per poi proseguire verso il Pacifico.
Mi piacevano e sicuramente mi hanno segnato le sue avventure molto romanzate, piene di tempeste e vele strappate. Ho apprezzato anche Marcel Bardiaux, un campione di kayak che si è costruito una barca in inox e ha navigato in tutto il mondo. Dopo questi primi mi sono fatto regalare degli altri libri sullo stesso genere: quindi credo siano state proprio quelle letture a creare la mia passione. Ci racconta Jean Luc Van Den Heede.
Cosa l’ha spinta a partecipare nel 2018?
Avevo 23 anni al tempo della prima Golden Globe Race del 1968, andavo già in barca a vela. Ero istruttore di vela dei Glenans e avevo la mia barca, un Corsaire ma ero troppo giovane, uno studente squattrinato, con poca esperienza per partecipare. Ho seguito la regata per quello che era possibile: a quel tempo non c’era internet né i social media di adesso. In Francia la regata creò scalpore: due francesi parteciparono, Moitessier di cui avevo letto i libri e Loic Fougeron che conoscevo personalmente.

Quindi per forza ho seguito con interesse la regata e la sfida dei nove pionieri mi aveva fatto sognare. Quando hanno organizzato la replica della regata dopo 50 anni, anche se pensavo di ritirarmi dalle regate, mi sono detto “devo tentare di farla” ricorda Jean Luc Van Den Heede.
Che differenze ci sono a navigare nel passato e nel presente, anche se le regole di regata sono simili?
La prima grande differenza è che nel 1968 [la prima Golden Globe Race] non era mai stato fatto un giro del mondo in solitario senza scalo. Nessuno aveva mai affrontato una sfida simile, si partiva verso l’ignoto. Francis Chichester qualche anno prima aveva completato sul Gipsy Moth IV una circumnavigazione con uno scalo, a Sydney e aveva aperto il cammino. Quando nella prima edizione partirono i nove pionieri, fare il giro senza scalo sembrava un’impresa fantastica.

Ora ci sono già una sessantina di persone che sono riuscite a completare il Vendée Globe. Si sa che è possibile, si conoscono meglio quei mari, le condizioni meteorologiche. Si ha l’esperienza che non aveva Robin Knox Johnston [vincitore della prima Golden Globe] e gli altri.
Due anni fa quando ho fatto io la regata il regolamento prevedeva di mantenere lo spirito e la tecnologia della prima edizione [della Golden Globe]. Le barche non avevano computer, GPS, satellitari, a bordo avevo solo la radio. Per la meteorologia avevamo poche informazioni dall’esterno, delle previsioni locali o informazioni fornite da radio amatori che spesso leggevano dei testi che nemmeno capivano. Ci davano giusto un punto di longitudine e latitudine per situare una depressione poi dovevamo creare noi la nostra previsione; ci spiega Jean-Luc Van Den Heede
Le persone sognano di più con una regata come questa?
Alla partenza ci hanno dato le previsioni NOAA per i primi due giorni, giusto per sapere la posizione delle depressioni e dell’anticiclone in quel momento. Le persone però sognano di più con una regata come la Golden Globe Race che con il Vendée Globe o altre. Il motivo è che le nostre sono barche normali, mentre quasi nessuno o pochi eletti navigano su barche come quelle del Vendée Globe.

Sono delle barche a foil, molto costose, molto veloci e non manovrabili da chiunque, mentre le nostre barche sono accessibili a tutti. Io ad esempio ho fatto il giro del mondo su un Rustler 36, chiunque potrebbe comprare una barca simile. Nell’immaginario e nella realtà diventa un’avventura possibile per tutti, al contrario del Vendée Globe. Questo fa immedesimare le persone e fa sognare di poter fare un giorno un’impresa simile: questo è la ragione del successo della regata; chiarisce Jean-Luc Van Den Heede
Cosa pensa dell’edizione del 1968 e dei suoi protagonisti?
Robin Knox-Johnston (il vincitore), Moitessier (l’eroe) e Donald Crowhurst (la tragedia).
Non sono completamente d’accordo sulle tre definizioni e non restringerei il campo a solo tre protagonisti, erano in nove ed ognuno aveva la sua particolarità. Il mio favorito era Alex Carozzo, l’italiano: dal mio punto di vista aveva la barca migliore e più veloce per questa regata. Due anni fa c’era anche Carozzo alla partenza della replica della regata e abbiamo legato molto. È un peccato che a causa di un’ulcera non abbia proseguito la regata, la sua barca era molto più veloce di quella di Knox-Johnston.
Secondo me sarebbe stato uno dei favoriti e avrebbe potuto conquistare lui la vittoria. Inoltre per me il vero dramma non è quello di Crowhurst, il tecnico elettronico inglese ma quello di Nigel Tetley, capitano della Marina britannica. Entrambi navigavano su multiscafi, Tetley aveva quasi compiuto il giro del mondo ma spinse oltre al limite la barca, a causa delle menzogne di Crowhurst. A mille miglia dall’arrivo il suo trimarano naufragò e anche se gli riconobbero il primato della circumnavigazione su multiscafo, due anni dopo si suicidò.
Quindi per me la sua storia è il vero dramma: era un marinaio molto bravo e aveva quasi vinto. Quando vide gli onori di cui fu investito Knox-Johnston e pensando che avrebbe potuto essere lui al suo posto non resse alla sconfitta; ci spiega Jean-Luc Van Den Heede.
Gli altri partecipanti del 1968
Riguardo agli altri partecipanti, anche Loic Fougeron era molto competente ma purtroppo ebbe un’avaria, inoltre la sua barca non avrebbe potuto vincere. Moitessier è molto conosciuto, era un sognatore, uno scrittore eccellente, più un filosofo che uno sportivo ma la sua barca non era molto competitiva. Alla partenza come tutti era emozionato e motivato: voleva essere il primo a compiere un giro del mondo in solitario e senza scalo.

Infatti il Golden Globe Race nasce da quest’idea: alcuni giovani navigatori dopo l’impresa di Chichester si stavano preparando per tentare la circumnavigazione senza scalo. In molti annunciarono la loro intenzione e il Sunday Times colse l’opportunità e organizzò una regata con un regolamento aperto e libero. Si permetteva a tutti di iscriversi alla regata, con una partenza indipendente tra il 1 giugno e il 31 ottobre.
Il Sunday Times era un grande sponsor e aveva messo in palio un premio molto importante, 5000 sterline. Anche due anni fa il premio era lo stesso, peccato che il valore della sterlina sia molto diverso oggi rispetto che nel 1968. Un’altra curiosità è che Knox-Johnston quando seppe che Crowhurst era scomparso, donò il suo premio alla moglie e ai figli; racconta Jean-Luc Van Den Heede.
Il mistero di Crowhurst
Naturalmente all’inizio non si sapeva che Crowhurst aveva imbrogliato, trovarono la barca alla deriva e pensarono che fosse caduto fuoribordo. Un cargo la portò negli USA e ispezionando la barca notarono le incongruenze, i due diari di bordo e scoprirono le bugie del navigatore. Alla fine scoperte le evidenze rivelarono a tutti la verità che comunque sarebbe emersa perché il caso aveva suscitato molto clamore.

Personalmente non credo fosse pazzo o impazzito, sicuramente si era indebitato per partecipare e sentiva la pressione di vincere. Capì che i suoi calcoli erano errati per mancanza di esperienza e di pratica e che non aveva veramente compiuto il giro del mondo. Come altri partecipanti, Ridgway o Blyth, aveva navigato poco e già durante i primi giorni aveva dato delle posizioni troppo ottimiste.
Poi si rese conto di aver percorso meno miglia, quindi si bloccò nella sua menzogna e l’unica via d’uscita che vide fu suicidarsi. Io non l’ho visto come uno squilibrato che partiva in mare, è stato sicuramente schiacciato dal suo stesso progetto troppo ambizioso rispetto alla reale esperienza; riflette Jean-Luc Van Den Heede.
Come si prepara tecnicamente ad un giro del mondo?
Ho fatto molti giri del mondo e ho partecipato alla prima edizione di diverse regate come la Mini Transat e il Vendée Globe. Amo le prime volte di una competizione perché si va alla scoperta dell’ignoto in tutti gli aspetti. Non si sa che tattica seguire, né quale barca è più adatta, non si sa fino a dove ci si può spingere. Oggi che si parli di Mini Transat o Vendée Globe si sa benissimo cosa aspettarsi e che barca costruire: tutte le barche si assomigliano.
La preparazione di una barca per il giro del mondo è molto lunga e complicata, dedico molto tempo a questo obiettivo. Ad esempio per questa regata ho impiegato circa due anni per preparare al meglio l’attrezzatura, l’albero e le vele. Da regolamento avevamo il limite di 11 vele per gli sloop e 13 per i ketch che potevamo imbarcare per la circumnavigazione. Io avevo portato 10 vele e se la rifacessi lascerei a terra uno spinnaker per sostituirlo con un altro genoa.

Non ho rotto nessuna vela: ho aggiustato soltanto una cucitura del genoa e un piccolo strappo su uno spinnaker fatto per colpa mia. Credo che la preparazione e una buona conoscenza della barca siano gli elementi chiave per la vittoria; spiega Jean-Luc Van Den Heede.
Qual è la grande magia dei tre capi e cosa li contraddistingue?
(Capo Buona Speranza, Capo Leeuwin e Capo Horn)
La prima differenza è che Capo Horn è ad una latitudine molto bassa, 55° 58’ sud, quindi nei Cinquanta urlanti. Gli altri invece sono molto più a nord e quindi sono meno difficili da doppiare. In più la Cordigliera della Ande crea le condizioni per cui il vento si concentra e rinforza proprio nella zona di Capo Horn. Il mito si è creato anche per le barche che scendevano dagli Stati Uniti East Coast e tentavano in senso contrario di doppiare il capo.

Era un’impresa quasi impossibile: in passato i velieri non stringevano il vento di bolina e non erano preparare per affrontare di fronte le onde enormi. Quindi Capo Horn è il capo mitico che fa sognare tutti i navigatori e i velisti. Personalmente ho passato Horn nei due sensi: da ovest ad est e al contrario. Durante il Vendée Globe ho trovato il passaggio divertente ed emozionante perché la barca plana sulle onde, si prova una piacevole sensazione di accelerazione.
Nell’altro senso si va al 90% contro vento e mare, si avanza lentamente e le condizioni molto variabili costringono a cambiare spesso le vele. Nelle circumnavigazioni verso ovest si naviga sempre al contrario dei sistemi meteorologici che si spostano naturalmente ad est, quindi contro le depressioni. Affrontando di prua tutti i sistemi si hanno maggiori variazioni di intensità di vento e mare e si cambia spesso velatura per assecondare le condizioni; chiarisce Jean Luc Van Den Heede
Planare sulle onde secondo Jean Luc Van Den Heede
Psicologicamente è più confortante la sensazione di velocità che offre planare sulle onde, piuttosto che combattere contro mare e vento ed avanzare lentamente. Ad esempio il record nel senso normale è del francese Armel Le Cléac’h. Con il suo Imoca al Vendée Globe 2017 impiegò 74gg, 3h e 35m. Mentre io nel 2004 ho compiuto la circumnavigazione al contrario in 122gg, 14h e 3m ed il mio record con un monoscafo è ancora imbattuto.

Per Capo di Buona Speranza (34° 21’ S) stesso discorso: quando lo si fa nel senso del Vendée Globe è l’inizio dei Quaranta ruggenti. Mentre in senso contrario si è sollevati perché si sta per risalire verso latitudini più alte e climi e condizioni più miti. In realtà si parla di Capo di Buona Speranza, ma il punto che separa Atlantico e Indiano è Capo Agulhas.
Per quanto riguarda Capo Leeuwin, non è un passaggio rilevante tranne perché si sa che si è arrivati praticamente a metà del giro del mondo.
Cosa non può mai mancare sulla sua barca durante un giro del mondo?
I miei figli mi regalarono per il mio primo giro del mondo un orsetto di peluche che ho portato con me a tutte le circumnavigazioni. Un pezzetto di famiglia è sempre in navigazione con me e mi ricorda l’affetto e il calore di casa.

Cosa mangiava in navigazione e come si fa a fare cambusa?
(Più di sei mesi senza toccare terra)
Mi piace mangiare quindi non pensavo di privarmene per 8 mesi. Dopo il mio primo Vendée Globe in cui ho mangiato poco e male, ho capito l’importanza di una dieta ben bilanciata. Ho consultato un dietologo e abbiamo esaminato attentamente il cibo che assumo abitualmente per creare un regime per le regate. Nella mia cambusa esiste un’equa distribuzione tra cibo in scatola e piatti liofilizzati, il tutto accompagnato da un bicchiere di vino rosso.
Naturalmente bevo molta acqua che porto in bottiglie, ma appena piove, raccolgo anche l’acqua piovana sulle mie vele. A volte preparo anche il pane fresco e sento in cabina un profumo irresistibile mentre si cucina nel forno di bordo. Per la regata, ho calcolato i pasti per 240/250 giorni: in lattine metalliche o vassoi di plastica e alcune buste liofilizzate. Quindi ho portato: 480 piatti principali / 480 piatti di verdure / 480 dessert. Inoltre, 120 camembert in scatola / 240 porzioni di biscotti Petit Lu per la colazione.
Non avevo mai più di 10 piatti identici, quindi una volta al mese mangiavo la stessa portata: è importante variare e rendere piacevoli i pasti. Inoltre integravo il tutto con una compressa di vitamine e minerali come mi aveva consigliato il mio medico. Ho caricato 250 litri di acqua nel serbatoio della barca, 50 bottiglie di acqua frizzante, 60 litri di vino (un bicchiere per pasto); spiega Jean-Luc Van Den Heede
I piatti per le occasioni speciali di Jean-Luc Van Den Heede
Per togliermi uno sfizio ho aggiunto diversi piatti della Comtesse Du Barry per occasioni speciali e delle eccellenti terrine di fagiano preparate da mia suocera! Riguardo al peso che ho caricato, so quantificarlo benissimo perché il comitato di regata ci pesava alla partenza e all’arrivo. Sono partito con circa 1300 kg tra cibo, acqua, attrezzature e al ritorno avevo accumulato 80 kg di immondizia: non ho gettato niente in mare. Da regolamento tutti gli scarti, tipo lattine o buste di cibo, ma anche una cima consumata, dovevano essere messi in borse dell’immondizia, controllate del comitato.

Come dormiva durante la regata e come organizza il sonno nelle sue navigazioni in solitario?
I miei cicli di sonno sono suddivisi in sezioni di un’ora e mezza, che corrispondono al mio ciclo di sonno naturale. Avevo studiato i miei ritmi circadiani all’ospedale universitario di Nantes al mio ritorno dal primo Vendée Globe per migliorare le mie prestazioni. Non ho problemi di recupero quando rispetto i miei cicli di sonno. Naturalmente, in luoghi più difficili (Doldrums, Cape Horn o vicini alla costa), il sonno può essere ridotta a 10 minuti o addirittura a zero. Ma non bisogna sgarrare per più di due giorni, è importante il riposo durante regate così lunghe.
Qual è stato il momento più difficile e quello più gioioso?
Il momento più difficile è stato quando la barca ha fatto un 360°, e l’albero ne è uscito malconcio. Temevo di dover abbandonare e avevo già chiamato a terra per avvisare ma poi ho provato a riparalo ed è arrivato il momento più simpatico. Mi sono convinto a continuare finché fosse possibile, con il dubbio ma nonostante l’incidente sono arrivato a concludere la regata e anche primo. Il momento più gioioso infatti è stato l’arrivo quando ho realizzato di avercela fatta e di aver vinto.

Episodi simpatici che le sono accaduti in mare durante la regata?
Vedo sempre degli animali marini: durante la regata ho visto meno uccelli marini di quello che mi capitava al Vendée Globe. Forse dipende dalla stagione, siamo partiti molto prima, però ho visto una balena che mi ha seguito per qualche ora. Ho vissuto dei simpatici incontri con altre barche: da regolamento di regata eravamo obbligati a passare per cancelli posti vicino a terra. Sia alle Canarie che in Australia la rotta ci portava vicino alla costa, cosa che non capita al Vendée Globe.
È sempre bello avvicinarsi a terra anche se non puoi fermarti e vedere altre persone che da spettatori ti salutano e incoraggiano. Addirittura in Australia durante il giorno ci sono state numerose barche che si sono avvicinate e regatavano con me. Erano curiosi di scoprire a che velocità andavo e se riuscivano a superarmi: è stato divertente avere un po’ di compagnia.
Un ricordo o pensiero della sua prima Mini Transat 1977 e del suo primo Vendée Globe 1990.
In entrambe le occasioni sono state la prima edizione della regata ed il pubblico credeva che fossimo un po’ svitati. La Mini Transat è una competizione straordinaria, tutti hanno un’opportunità perché le barche sono piccole ed economiche: adoro lo spirito di questa regata. Ricordo soprattutto il cameratismo che si instaurava tra i partecipanti, eravamo un gruppo molto affiatato, c’era un’intesa straordinaria.

Mentre del primo Vendée Globe ricordo che tutti sentivamo di partire per l’ignoto, è stata per tutti una grande prova e una grande sfida. Prima di noi solo Robin Knox-Johnston era riuscito nel 1969 a completare il giro del mondo in solitario senza scalo.
Cosa l’ha spinta nel 2004 a tentare il record di giro del mondo al contrario?
Dopo quattro giri del mondo da est a ovest, due Vendée Globe e due Boc Challenge mi sono chiesto come sarà farlo al contrario? Erano in pochi ad essere riusciti a farlo e la sfida mi affascinava. È stata una dura prova: ho tentato quattro volte e ho trascorso 7 anni della mia vita per conquistare quel traguardo. La prima volta ha ceduto l’attrezzatura, la seconda la chiglia era fessurata ed ha iniziato a muoversi, la terza ho disalberato. Alla quarta ci sono riuscito e quando si riesce al quarto tentativo la vittoria è ancora più bella.

Cosa pensa sua moglie, come si concilia vela d’altura e famiglia?
Mia moglie e i miei figli mi hanno sempre appoggiato e mia moglie mi ha conosciuto che navigavo e mi ha accettato così. Erano contenti ed orgogliosi quando sono arrivato ed eravamo tutti felici di rivederci e riabbracciarci. Mia moglie in certe occasioni ha partecipato anche a delle regate con me. Mio figlio è nella Marine National e mia figlia ha una barca da crociera con cui naviga con il marito.

Lei è stato anche professore di matematica fino al 1989, quanto è importante la matematica in barca a vela?
Manipolare le cifre e capire i sistemi matematici è un vantaggio. Quando si compie un giro del mondo, bisogna sempre risolvere dei problemi e la mentalità logica del matematico è importante.
Qual è il prossimo progetto di Jean-Luc Van Den Heede?
Ho sempre dei progetti in testa, sono fatto così, adesso sogno di partire in crociera e sto preparando la mia barca per divertirmi. Sarà la mia ventesima barca e mia moglie mi accompagnerà in questo viaggio, non so ancora con sicurezza la meta.

Cosa consiglierebbe ai giovani che vogliono avvicinarsi alla vela d’altura e alle traversate in solitaria?
Oggi non possiamo scoprire qualcosa di veramente nuovo sul pianeta, si conoscono tutti gli angoli della Terra ma ci sono sempre delle passioni da coltivare. Quello che consiglio ai giovani è di avere una passione, non c’è niente di più terribile che non avere dei desideri. Il problema quando si realizzano con facilità i desideri, è privare del desiderio, della voglia di fare, di ottenere un risultato.
Trovo che avere una passione nella vita è importante. Secondo consiglio che mi permetto di dare è cercare di conservare l’ottimismo: siamo in un mondo in cui si coltiva il pessimismo, la negatività. Mentre ci dimentichiamo le cose positive, dimentichiamo che possiamo essere felici già per il dono della vita.
Chapeau Monsieur Jean-Luc Van Den Heede et Merci!

Bibliografia
- “Un globe à la force du poignet” di Jean-Luc et Roger Van Den Heede
- “Faccia a faccia con l’oceano” di Jean-Luc Van Den Heede, pubblicato da Edizioni Mare Verticale
- “Le dernier loup de mer” di Jean-Luc Van Den Heede, in uscita la versione in italiano, “L’ultimo lupo di mare”, Edizioni Mare Verticale.