Là dove Oceano Pacifico e Atlantico si incontrano nasce il mito di Capo Horn
Capo Horn, Cabo de Hornos, comunque lo vogliate chiamare è un luogo mitico là dove Oceano Pacifico e Atlantico si incontrano. A discapito del nome è un’isola parte dell’arcipelago della Terra del Fuoco che rievoca immagini di una natura pura e selvaggia. Proprio là dove Oceano Pacifico e Atlantico si incontrano la nostra immaginazione si libera e vola. Leggiadri ed eleganti, gli albatri sfidano le tempeste ed i venti dei cinquanta urlanti fra Oceano Pacifico e Atlantico. Le continue perturbazioni che viaggiano in senso orario attorno all’Antartide sospingono enormi masse d’acqua verso lo Stretto di Drake. Capo Horn e l’Antartide creano un passaggio obbligato per vento e mare mettendo a nudo tutta la potenza della natura.
Il vento che urla fortissimo oscilla ad ogni fronte freddo da Nord-Ovest a Sud-Ovest. I venti della zona calda della depressione, soffiano regolari e fortissimi per giorni innalzando onde enormi. Al passaggio del fronte freddo le condizioni diventano furiose. Il vento ruota e soffia gelido, rabbioso direttamente dall’Antartide, portando con sé un nuovo treno d’onde. Questo è il momento più pericoloso, i treni d’onde si sommano creando un mare confuso, difficile, balordo. Tanti navigatori ne hanno assaggiato il morso gelido, i frangenti letali. Là dove Oceano Pacifico e Atlantico si incontrano si vive la natura pura, ma si può anche morire.

Quarantadue ore all’impatto – la tensione nell’aria prima di Capo Horn
Navigavamo a 60 gradi sud, più a Sud di quanto saremmo voluti andare, ma il meteo ce lo impose. Ero preoccupato dall’abbassarsi della temperatura dell’acqua, scesa ormai sotto i quattro gradi centigradi. Era chiaro che fossimo in zona di iceberg che ci erano già stati segnalati oltre i 59 gradi di latitudine. Eravamo nel settore caldo di una profondissima depressione, una vera tempesta di quelle mi avevano affascinato sin da quando ero bambino. La depressione ci stava raggiungendo da Ovest verso Est mentre continuava il nostre folle volo verso Capo Horn. Era il Febbraio 2012, eravamo in due su un Class40 da regata durante la Global Ocean Race 2011/2012. Diretti là dove i nostri sogni avevano appuntamento con Oceano Pacifico e Atlantico.
In quel momento avevamo temporaneamente conquistato la testa della regata, per la prima volta dalla partenza. Il nostro tuffo verso Sud aveva pagato ma la tensione a bordo continuava a salire. Ad ogni aggiornamento dei dati delle carte sinottiche la situazione sembrava peggiorare. Eravamo in contatto con gli altri concorrenti e con il comitato regata e persino la guardia costiera cilena era stata allertata. Ci trovavamo a 420 miglia da Capo Horn, e seppur a vele ridotte nella tempesta tenevamo comunque una media di 10 nodi. Saremmo arrivati a doppiare il capo dopo circa quarantadue ore, per il nostro appuntamento fra Oceano Pacifico e Atlantico.

Capo Horn, dove il mare impazzisce, il vento porta a scogli
La nostra analisi però non poteva escludere un fatto importante, il temuto fronte freddo ancora lontano ma ci stava incalzando. Man mano che navigavamo, depressione e fronte freddo, che viaggiavano molto più veloci di noi, accorciavano le distanze. Ogni tre ore col satellitare scaricavo nuovi dati ma il responso era inesorabilmente lo stesso. Il fronte freddo ci avrebbe raggiunto proprio dopo circa 42 ore. Al suo passaggio il vento sarebbe ruotato improvvisamente ed infuriato da Nord-Ovest a Sud-Ovest. Proprio là dove Oceano Pacifico e Atlantico si incontrano e decidono chi lasciar passare.
Nelle nostre paure si accavallavamo molte preoccupazioni, tutte legate ai pericoli che avremmo potuto incontrare. La navigazione fra Oceano Pacifico e Atlantico è complicata da molti fattori. Nel settore caldo della depressione il vento di febbraio è ancora tollerabile, intorno ai dieci gradi centigradi. Certo con l’acqua intorno a noi a meno di quattro gradi ed il vento che stava aumentando oltre i cinquanta nodi il freddo era pungente. Rispetto al continente, e all’arcipelago della Terra del fuoco arrivare con mare e vento da Nord-Ovest sarebbe stato tutto sommato accettabile. In caso di deterioramento delle condizioni avremmo potuto decidere di metterci alla cappa o tentare di filare l’ancora galleggiante. Questo sapendo di avere acque libere fino all’Antartica nel passaggio fra Oceano Pacifico e Atlantico.

Questione di ore – l’incontro fra Oceano Pacifico e Atlantico
Ma tutto sarebbe stato diverso se fossimo arrivati là dove Oceano Pacifico e Atlantico si incontrano con anche solo qualche ora di ritardo. Ci saremmo ritrovati già a ridosso delle scogliere cilene finendo in una trappola pericolosissima. Al passaggio del fronte sarebbe arrivato un fortissimo vento da Sud Ovest, dritto verso terra. Se le condizioni fossero peggiorate ne saremmo dovuti comunque uscire navigando, senza la possibilità di fuggire riducendo il vento apparente. Nessuno dei due aveva mai affrontato condizioni simili, con venti sostenuti ormai da dozzine di ore ed una previsione di forte peggioramento. Non sapevamo cosa ci aspettava all’incontro fa Oceano Pacifico e Atlantico.
Un ultimo aspetto ci inquietava più di ogni altra cosa, l’orografia del fondale oceanico proprio dove Oceano Pacifico e Atlantico si incontrano. Dove navigavamo il mare era maestoso, con onde misurate dai modelli fra gli otto e i dodici metri. Ma il loro passo era lunghissimo, come durante tutta la navigazione nell’Oceano Pacifico. In punta ad un onda ci si sentiva come su una montagna a guardar vallate. Sul fondo fra due onde si percepiva solo l’insignificante piccolezza dell’uomo di fronte alla potenza della natura. Il fondo oceanico risale però da migliaia di metri a meno di 100 in prossimità di Capo Horn. Quest’innalzamento improvviso, proprio come sui banchi di Terranova e nel Golfo di Biscaglia, fa impazzire il mare.

Arrivare a Capo Horn nel momento peggiore
Tutto sembrava allineato per farci arrivare nel momento peggiore possibile la dove Oceano Pacifico e Atlantico si incontrano a Capo Horn. Saremmo arrivati al momento del passaggio del fronte freddo, con mare incrociato, treni d’onda che si sommano. Le onde spinte dalle correnti di risalita del mare dagli abissi spiccano impazzite come ripide come muri. S fossimo riusciti a doppiare il capo prima del fronte freddo avremmo poi potuto puntare a Nord durante il colpo di vento da Sud-Ovest. Avremmo evitato lo stretto di Le Maire passando ad est dell’Isla de los Estados puntando alle Falkland. Ci saremmo tolti dalla furia dell’Oceano Pacifico e Atlantico che si incontrano, protetti dalla Terra del Fuoco e dal continente.
Ritornare in Atlantico e puntare verso nord era tutto quello che desideravamo fare. Lasciarci finalmente alle spalle quel maledetto punto dove Oceano Pacifico e Atlantico si incontrano. Ma non potevamo ignorare che giocavamo sul fil di lana con il passaggio del fronte freddo. Se la depressione avesse accelerato anche di pochissimo, avremmo potuto incontrare condizioni potenzialmente letali. Regolavamo le vele per fare del nostro meglio nonostante le condizioni. Non potendo rallentare l’incalzante depressione potevamo solo cercare di andare più forte. Il vento aumentava, il barometro era andato giù a picco e tutto indicava che la tempesta sarebbe solo peggiorata. E’ difficile immaginare che tutto possa diventare “molto più difficile” quando il vento soffia già regolare oltre i cinquanta nodi.

Una decisione difficile – il peso della responsabilità
Avanzavamo inesorabili verso il nostro appuntamento fra Oceano Pacifico e Atlantico. Non parlavamo molto, non c’era molto da dire, l’apprensione era palpabile nell’aria. Nessuno dei due voleva esprimersi per primo e dichiarare la propria paura. Navigavo con Hugo Ramon, velista professionista di Palma di Maiorca. Nessuno dei due aveva mai visto nulla di simile, nessuno dei due poteva parlare per esperienza. Hugo, in quella situazione difficile fu estremamente corretto rispetto al suo ruolo. Mi disse che qualsiasi decisione avessi preso avrebbe appoggiato la decisione senza discussioni. Ero lo skipper, il capitano, toccava a me decidere, preservare il primo posto o pensare alla sicurezza. [NDR puoi leggere qui una intervista a Marco Nannini, autore di Dalla Banca all’Oceano edito da Longanesi]
Stavamo velocemente riducendo le distanze dal punto in cui Oceano Pacifico ed Atlantico si incontrano. Mancava meno di un giorno di navigazione e il punto di non ritorno era rappresentato dal punto di innalzamento del fondale. Una volta “saliti” sulla piattaforma continentale, se pur ancora in mare, le nostre opzioni si sarebbero ridotte drammaticamente. Stavamo puntando alle isole di Diego Ramirez proprio sulla nostra rotta per Capo Horn. Sono in verità queste piccole isole a rappresentare l’avamposto del continente Americano. Si trovano proprio al limite della zona in cui si innalza il fondale, dovevamo decidere prima di superarle.

Continuare per vincere – fermarsi per salvarsi
In quella tappa che ci avrebbe portato tra Oceano Pacifico e Atlantico, già due team di professionisti si erano ritirati. In una agitata telefonata satellitare con Miranda Merron di Campagne de Franc