Pasquale De Gregorio è uno dei navigatori più vicini a tutti gli appassionati di mare e di navigazione. Pasquale è un esempio, il mare l’ha dovuto conquistare, non ci è nato vicino, è stato un colpo di fulmine, durato tutta la vita. Pasquale incarna un sogno, quello di correre la regata più estrema in solitario, l’Everest della vela, il Vendée Globe. Ricorda che non ci sono date di scadenza, non serve avere vent’anni per fare il giro del mondo, lui l’ha fatto a quasi sessanta.

Pasquale De Gregorio non si è lanciato in una pazza avventura, ha studiato, ha navigato e a tappe è giunto alla meta. Pasquale non è arrivato primo. Ma il coraggio di concludere il Vendée Globe, svantaggiato, con la chiglia basculante bloccata e senza previsioni meteo, vale un grande riconoscimento morale. Pasquale non aveva grandi risorse per il suo progetto e ha pagato caro il suo sogno ma l’ha vissuto pienamente, senza rimpianti. Non si è mai proposto come protagonista sotto i riflettori dei media, ma lo sentiamo come uno di famiglia, quella del mare e Marinai.
Questo e molto di più è Pasquale De Gregorio, classe 1941, 180.000 miglia di navigazione a vela all’attivo. Un navigatore gentiluomo, innamorato del mare e sempre coerente con la sua scelta di vita, che ha comportato delle perdite ma anche molto arricchimento. In un’intervista rilasciata di recente racconta la sua storia, prima di ripartire con il suo amore per una crociera nel sud Italia.
Pasquale De Gregorio: all’origine della passione per il mare e per la vela
“Sono nato in Abruzzo, sulle pendici della Majella, quindi ero più un montanaro e con il mare avevo avuto un rapporto da normale cittadino. Andavo in vacanza in spiaggia in estate e non sono nemmeno un ottimo nuotatore, c’era più il desiderio di conoscenza, inizialmente. Sono laureato in giurisprudenza e per quasi vent’anni ho lavorato al servizio legale della Banca d’Italia,” ricorda Pasquale De Gregorio.
“Nel 1973, avevo 32 anni, ero indeciso se comprare un furgone attrezzato per viaggiare o fare un corso di vela. Ho scelto la seconda opzione e sono andato alla famosa scuola di Caprera e per me è stata un’esperienza folgorante. Caprera ha fatto il miracolo, complice anche un capo turno, Piero Bianchessi. Era un navigatore esperto e ci insegnava la navigazione a vela sulle derive, preparandoci a quella su barche più grandi. Anni dopo ci siamo rincontrarti alle Vanuatu, dove si era trasferito.
Nel 1988 ho mollato tutto, il lavoro e la carriera e mi sono dato completamente al mare. Avevo elaborato lo step di vivere in mare già l’anno dopo che avevo frequentato il Centro Velico a Caprera. Avevo elaborato questo piano: tener duro fino alla maturazione dell’anzianità minima per la pensione, per avere una base economica. Ero anche consapevole che, se volevo fare questo nella vita, organizzando delle crociere scuola con appassionati di mare, dovevo imparare bene a navigare. Ho comprato la mia prima barca, un Brigand 750 e ho fatto la mia prima crociera, le prime navigazioni d’altura. In quel periodo ho visto chiaro nel piano della mia esistenza,” racconta Pasquale De Gregorio.
Cambio di visione per uno stile di vita nuovo
“Gli anni che sono intercorsi tra l’elaborazione del progetto e la realizzazione di questo cambio di vita li ho dedicati all’apprendimento. Mi sono impegnato a crearmi l’esperienza che mi garantisse un’attività e un comportamento in tutta sicurezza, per me e gli altri. L’Adriatico è stato la mia palestra e scuola d’altura, inizialmente con regate Open, tipo 500×2 o Rimini – Corfù – Rimini. Quello che più mi affascinava e affascina ancora del mare è lo stile di vita,” puntualizza Pasquale De Gregorio.
“Il primo corso di vela, quella prima esperienza in Sardegna aveva innescato una serie di reazioni a catena, molto profonde. Nella mia passione per il mare c’è l’aspetto turistico del viaggio, il rapporto romantico con il mare, le persone, i luoghi e gli ancoraggi. Ma prevale l’approccio ad uno stile di vita completamente all’opposto di quello che avevo seguito per abitudine e necessità.

La mia vita precedente era dedicata all’affermazione di una condizione economica di benessere in una prospettiva borghese e comune. Cominciando ad andare in barca e facendo le prime navigazioni mi sono accorto che c’era un’alternativa di vita completamente diversa. Ho capito che si poteva vivere bene, con poco,” afferma Pasquale De Gregorio. “È stato una specie di detonatore, ho iniziato a scrostarmi di dosso una serie di certezze e convinzioni.”
Famiglia e mare, un binomio non sempre facile
“Conciliare mare e famiglia non è sempre facile, all’epoca del mio cambio di vita ero sposato con due figli. La mia prima moglie inizialmente viveva la barca con piacere ma non aveva subito la stessa trasformazione, lo stesso cambiamento di visione. Questo ha portato purtroppo ad un allontanamento progressivo e le nostre vite hanno preso una strada divergente,” racconta Pasquale De Gregorio.
“I miei due figli navigano con me volentieri ma sempre in maniera distaccata, non hanno abbracciato la mia stessa passione appieno. Comunque mi hanno raggiunto in giro per il mondo in occasione del Round the World Rally-Europa 92 a cui ho partecipato nel 1991-92. Hanno visto le Vava’u e abbiamo navigato in Thailandia, condividendo splendidi paesaggi ed emozioni.

Da quindici anni sono felicemente risposato con Oriana Ubaldi, pittrice ed amante del mare e della vela. Quando ci siamo incontrati aveva già fatto una traversata atlantica. Ci siamo conosciuti ventisei anni fa per le comuni passioni marine e un paio d’anni dopo è scoccata la scintilla. Ora navighiamo insieme,” confessa Pasquale De Gregorio.

Dalla crociera, alle regate, ma d’altura
“Dopo aver iniziato a navigare sulla mia barca in crociera ho conosciuto altri velisti e mi sono avventurato nel mondo delle regate. Per me era sempre un discorso di responsabilità. Facevo le regate in ottica di formazione, come fosse una palestra per svolgere con consapevolezza e responsabilità questa attività. Dopo avere partecipato a varie regate di triangolo, anche campionati IOR su barche di amici, mi ero reso conto che era un ambiente stressante. Non c’era solo il piacere di navigare e competere sportivamente, spesso si finiva a litigare per le classifiche,” racconta Pasquale De Gregorio.
“Quando invece ho approcciato l’ambiente delle regate Open, in particolare all’inizio la 500×2, ho trovato un ambiente completamente diverso di esperti e bravi marinai. In navigazione erano ugualmente impegnati al massimo e competitivi, ma con una certa leggerezza, con ironia.
Questo approccio da marinai veri mi ha aiutato a formarmi. Poi il mare, inizialmente l’Adriatico ha fatto il resto, tipo il Quarnero quando si incavola mette a dura prova uomini e strutture delle barche. Su queste esperienze mediterranee ho poggiato la mia preparazione da skipper e la preparazione stessa della barca per il giro del mondo in equipaggio.” Conclude Pasquale De Gregorio.
Pasquale De Gregorio, il primo giro del mondo, Round the World Rally-Europa 92
“Nel 1991 mi sono iscritto alla Round the World Rally-Europa 92, giro del mondo a tappe, in equipaggio. Per me è stato un ulteriore step di arricchimento. Non avevo mai varcato le Colonne d’Ercole (Gibilterra), quindi compiere, pur alle latitudini tropicali, tutti gli oceani è stato molto bello. Anche umanamente è stata un’esperienza importante, eravamo sette barche italiane e altre barche da tutto il mondo,” racconta Pasquale De Gregorio.

“Abbiamo navigato e visitato i posti più belli della terra, ma quello che mi ha segnato di più è stata la navigazione. La mia barca era un 50 piedi portato a 53 e dal punto di vista marino è stato molto intenso.
Poi, dopo aver fatto il giro alle latitudini tropicali, mi sono detto perché non vedere cosa c’è più giù. Mi è preso il tarlo del Vendée Globe che in realtà considero più come una conseguenza che come l’obiettivo del mio percorso.”
Verso la navigazione in solitario
“Dal navigare intorno al mondo in equipaggio a navigare in solitario per me è stato un passaggio naturale. Durante il Rally, avevo due compagni di equipaggio che hanno fatto con me tutto il giro. Erano persone normali, come me, un pilota in pensione e un ragazzo più giovane che lavorava nel campo dell’informatica.
In realtà il più esperto dei tre ero io e ne sentivo la responsabilità. Dalla partenza da Gibilterra fino in Thailandia, non ho mai dormito in cuccetta, dormivo fuori pronto ad intervenire e a controllare. Poi in Thailandia ho conosciuto un francese che mi ha garantito la presenza in pozzetto di un’altra persona esperta,” ricorda Pasquale De Gregorio.
Il Vendée Globe, un sogno per raggiungere un obiettivo
“Per quanto riguarda la prova più estrema dei navigatori solitari, il Vendée Globe, fin dalla prima edizione del 1989, ho sempre presenziato alla partenza. Mi affascinava l’aspetto tecnico ma anche quello umano. Alla prima edizione si respirava un’atmosfera di tensione, era la prima volta e gli stessi partecipanti non sapevano cosa avrebbero affrontato.
Le imbarcazioni erano variegate, alcune già concepite per la navigazione in solitario, come per il BOC Challenge, altre invece erano adattate. Il panorama delle imbarcazioni e dei navigatori non si era ancora specializzato. Poi sono tornato a vedere la partenza anche nel 1992 e 1996 e andando a curiosare mi si è messo il tarlo. Finché nel 2000 sono riuscito ad essere sulla linea di partenza con un Open 50’, all’epoca erano ancora ammessi ed eravamo in tre.

Il bel ricordo, oltre la navigazione è l’esperienza intensa umanamente, infatti sono riuscito a coronare questo sogno grazie all’appoggio anche economico di tanti amici. Quando ho rivenduto la barca ad Andrea Mura ho dovuto chiedere l’assenso alla vendita ad altre diciannove persone, eravamo venti proprietari.
Questo mi ha consentito inizialmente di avviare la costruzione della barca al buio, senza avere la certezza di trovare uno sponsor. Poi all’ultimo ho trovato lo sponsor Wind, sempre grazie agli amici perché io avevo ormai perso ogni speranza,” racconta Pasquale De Gregorio.
La barca per il giro del mondo
“Viste le risorse limitate, la costruzione dell’Open 50 è stata un’odissea, in mezzo alle normali difficoltà per organizzare una regata simile. Lo scafo è stato costruito da un cantiere di Fiumara, ad Ostia, la Dolphin che era allora un piccolo cantiere locale. La coperta, le paratie e la tuga sono state fatte a Latina nello stesso cantiere in cui Soldini aveva costruito Stupefacente Kodak. La direzione dei lavori sia ad Ostia che a Latina era di Stefan Falcon,” ricorda Pasquale De Gregorio.
“Mi sono trovato nel 1998 con questo guscio, lo scafo senza poppa, che poi ho trainato da Fiumara, come una saponetta, in un altro cantiere. La coperta con tutte le paratie però non collimava con l’interno dello scafo, c’era ancora da lavorarci e pensavo sarei rimasto in un limbo.

A gennaio 2000, fortunatamente lo sponsor Wind è diventato operativo. La barca a quel punto era scafo, coperta e tuga assemblati al cantiere Fiad di Fiumicino. Ma mancavano ancora specchio di poppa, timoni, canard, motore e strumentazione, attrezzatura di coperta, chiglia e albero. Praticamente non c’era niente, di corsa siamo riusciti a completare meglio possibile la barca ma non sono riuscito a provarla. Ho fatto solo un’uscita prima di partire per Plymouth dove dovevo correre la Ostar, regata di qualifica per il Vendée,” racconta De Gregorio.
Ostar, nuovi problemi e una corsa contro il tempo
“Il ricordo della Ostar non è piacevole, vi sono stati momenti concitati, problemi che venivano alla luce, con il mio pensiero rivolto al Vendée. Nella fretta di terminare tanti dettagli della barca, avevo trascurato proprio gli allenamenti per collaudare le nuove strutture ed in particolare la chiglia basculante.
Quando mi sono imbattuto nella prima burrasca, abbiamo affrontato un tipo d’onda molto ripida, simile in grande a quella dell’Adriatico. Dal quinto giorno delle Ostar, la chiglia ha iniziato a basculare sia trasversalmente che longitudinalmente, avrei dovuto ritirarmi. Ma dovevo cercare di completare la regata per qualificarmi per il Vendée Globe, altrimenti non sarei potuto partire,” confida Pasquale De Gregorio.

“Ho cercato di contenere i danni, sapevo che la barca era costruita bene. Gli strutturisti della chiglia che non erano gli stessi dello scafo, pur essendo molto bravi, avevano commesso un errore. Quindi ho scelto una rotta più larga, senza salire troppo in latitudine e facendo una bolina più “dolce” possibile. Ad ogni onda che investiva la barca, la chiglia si muoveva quattro, cinque volte prima di fermarsi.
Al ritorno dagli Stati Uniti ho navigato da solo, al contrario di come avevo programmato perché temevo veramente di perdere la chiglia. Non volevo mettere a rischio la vita di altre persone e mi sono preso da solo questa responsabilità. Arrivato in Francia, ho spedito la chiglia in Italia perché venisse ispezionata e da lì mi è arrivato il verdetto. Le assi di rotazione erano incrinate più della metà e non c’era tempo per rifarne una nuova. L’unica soluzione era quella di farmi rimandare la chiglia in Francia e fissarla in modo “avventuroso” per poter partire,” racconta De Gregorio.
Pasquale De Gregorio: sulla linea di partenza del Vendée Globe, il sogno
“Abbiamo fissato la chiglia e creato dei gavoni di allagamento per garantire l’auto-raddrizzamento ma non potevo utilizzarli come ballast. Due settimane prima della partenza ho dovuto fare un’altra qualifica perché la barca non era più nell’assetto originale con cui avevo fatto la Ostar.
Sono tornato al pontile con gli altri concorrenti una settimana prima della partenza che fortunatamente è stata posticipata di quattro giorni,” ricorda De Gregorio. “Quindi ho avuto un ultimo spazio di sollievo per poter completare le ultime cose, nonostante sapessi che la barca era molto castigata dalle modifiche. Alla partenza ci ero comunque arrivato nonostante le avversità e difficoltà e per me era già un primo risultato.

Quando si iniziano questi progetti è come vincere alla lotteria, nulla è certo. Infatti, chi si è cimentato in questi programmi è concorde come me nel dire che la parte più dura è quella a terra. Una volta che si salpa inizia il piacere, il vero godimento insomma,” commenta Pasquale De Gregorio.
Problemi e rotture, la fatica di perseverare
“Il mio giro del mondo è stata un’esperienza indimenticabile ma anche in navigazione ho dovuto affrontare ulteriori problemi e avarie.
All’inizio dell’Oceano Indiano ho subito una strambata involontaria mentre ero all’interno della barca che ha rotto l’antenna del meteofax e del telefono satellitare. Non potevo più accedere all’internet e alle previsioni meteo e questo mi penalizzava terribilmente, sapevo che avrei navigato alla cieca.
Dopo due giorni, a complicare la situazione si è aggiunta anche la rottura di una sartia bassa. A quel punto si è trattato solo di organizzarsi per cercare di arrivare fino in fondo,” confida De Gregorio.
Un errore di comunicazione
Non avevo addetti stampa e io non sono bravo a comunicare così la notizia delle avarie che stavo subendo era passata in sordina. Avevo dato notizia alla segreteria della regata dei miei problemi nella mail quotidiana che inviavo tramite Standard C per dare la posizione.
Durante la regata tutti noi partecipanti eravamo obbligati ogni giorno a dare un cenno di presenza a bordo. L’organizzazione sapeva la posizione della imbarcazione ma era importante certificare che lo skipper era ancora a bordo. Ho mandato la comunicazione proprio nel periodo di Natale, 21-23 dicembre, quindi probabilmente l’hanno presa e distrattamente archiviata, senza leggere approfonditamente il contenuto.

Quando sono arrivato, ho capito che nemmeno l’organizzatore, Jeantot ne sapeva niente. Queste avarie purtroppo hanno comportato un rallentamento, soprattutto nella risalita dell’Atlantico. Non avevo informazioni meteo e non sapevo dov’erano gli anticicloni di sant’Elena e delle Azzorre e come si muovevano e in che direzione. Questo rallentamento, senza un’adeguata comunicazione ha causato fraintendimenti e, in alcuni, l’impressione che me la stessi prendendo comoda.
L’arrivo: una grande festa
“Il mio arrivo, a due mesi dal primo classificato, è stato comunque una grande festa. Ad attendermi c’era Oriana, tanti amici italiani, Ellen MacArthur che era tornata appositamente dall’ Inghilterra e anche Michel Desjoyeaux, il vincitore. Devo dire che l’aspetto umano è ciò che rende queste avventure particolarmente intense e che prevale su tutto, un ricordo indelebile,” ricorda De Gregorio.
Nell’edizione del 2000, due italiani hanno partecipato e “scalato” l’Everest dei mari: Simone Bianchetti, al dodicesimo posto e Pasquale De Gregorio, quindicesimo. Quest’ultimo, allora cinquantanovenne, detiene anche il primato per quell’edizione come skipper più “grande” per età.

“Per mia esperienza, l’età più che essere un handicap è un plus di valore aggiunto. Non conta solo la forza fisica, come dimostrano tante navigatrici che si cimentano in simili prove e sopperiscono a delle carenze con la tecnologia. Affrontando un simile progetto nella maturità, fai le cose con una motivazione profonda e vera. Se curi adeguatamente la preparazione, l’età ti permette di gestire meglio dal punto di vista psicologico le tensioni e le situazioni di rischio.
Per fare un esempio, all’ arrivo mi è stato detto: “Sembra che ti sia nascosto in una baia accanto”. Sono partito che ero uno straccio, tra tutti i lavori e le incertezze e sono arrivato che ero perfetto. Invece, tanti giovani sono arrivati distrutti, c’è molta più vulnerabilità in loro, l’età non è un grosso problema,” precisa Pasquale De Gregorio.
Qualche rimpianto ed un cerchio che si chiude dopo dieci anni
“Resta un po’ di rimpianto per il risultato, avrei voluto forse una seconda occasione per ripetere questa splendida regata. Comunque, sono soddisfatto perché a me interessa la consapevolezza di cosa ho fatto e come l’ho fatto. Mi sento anche di essere riuscito ad adempiere il mio compito secondo lo spirito di ideazione alla base di questa regata. Lo spirito originario del Vendée Globe è quello della marineria e di dimostrare di saper fronteggiare da soli anche problemi seri. Credo sotto questo profilo di esserci riuscito,” confida Pasquale De Gregorio.
“Per compiere il giro del mondo ho navigato per cinque mesi ma in realtà il Vendée Globe ha impegnato dieci anni della mia vita. Dal 1998 ho iniziato a preparalo e, conclusa la regata nel 2001, mi sono impegnato a ripagare i debiti. Inoltre, se volevo rivendere a qualcuno la barca dovevo renderla nuovamente “navigabile”. Felci mi ha fatto un progetto per la nuova chiglia e io ne ho curato realizzazione e montaggio a Rimini, dove mi ero trasferito. Nel 2008, finalmente la barca è stata acquistata da Andrea Mura,” racconta Pasquale De Gregorio.
Pasquale De Gregorio racconta un episodio divertente
“Devo dire che ogni singolo momento è stato molto bello, tranne la momentanea delusione mista a sofferenza quando ho visto la rottura della sartia. Dovevo navigare ancora per 20.000 miglia e ho fatto una riparazione che in parte ostruiva la rotaia della randa.
Mi sono inventato un sistema per poterla bypassare e arrivare alla seconda crocetta, però avevo la randa limitata alla terza mano di terzaroli. Avevo consapevolezza di quello che rappresentava questa avaria, ma poi mi sono abituato ed ogni momento è stato bello,” confessa Pasquale De Gregorio.

“Il passaggio di Capo Horn è stata una cosa simpatica, anche se non l’ho visto poiché ci sono passato di notte. Non avevo informazioni meteo precise e sono arrivato in vicinanza di Capo Horn con un bel vento sui 30-35 nodi. Per evitare l’onda frangente al confine della piattaforma continentale ho deciso di allargarmi, sono passato all’esterno delle isole Diego Ramírez.
Quando ho chiamato l’addetto al faro per dichiarare il mio passaggio, identificandomi solamente con il numero della barca, mi ha risposto: “Grazie Don Pasquale”. Evidentemente i Francesi gli avevano lasciato la pubblicazione dei nomi dei partecipanti, è stato un episodio simpatico,” racconta Pasquale De Gregorio.
… e uno commovente
“Ripeto che il Vendée Globe è stata una grande esperienza da un punto di vista umano, fatta di conoscenze e condivisioni. Quelle amicizie si sono sviluppate nel corso del tempo, ad esempio siamo ancora in contatto con una signora di Les Sables d’Olonne.
Sono passati vent’anni da quando ci aveva ospitato prima della partenza in una casetta accanto alla sua, ma questo legame è continuato.
Il fatto carino e quasi commovente è che, quando sono arrivato dal Vendée, mi ha regalato le chiavi di quella casetta. Non lo dimentico, mi ha detto: “Questa è la tua casa, quando vuoi puoi sempre venire qua”, ricorda Pasquale De Gregorio.
La cambusa per il Vendée Globe
“La mia cambusa per il giro del mondo l’ha preparata tutta Oriana sulla base di un esperimento fatto durante la Ostar. Mi ero annotato giorno per giorno tutto ciò che mangiavo nelle diverse ore e lei sulla base di queste informazioni ha organizzato la cambusa.
Ha tenuto conto anche dei cambi di stagione e di condizioni climatiche, ad esempio si parte a novembre con il freddo, ma poi cambia. I pasti erano organizzati in buste settimanali, dove c’era un solo pasto a settimana di liofilizzati. Nei due mesi precedenti alla partenza ho sperimentato tutta una serie di marche di liofilizzati e ne ho salvato una sola,” precisa De Gregorio.
Il resto era tutto cibo che mi piaceva come riso, un po’ di ortaggi e frutta disidratata. Per integrare le proteine parmigiano sottovuoto e carne dei Grigioni, che un’amica svizzera mi aveva fatto preparare in una macelleria locale. Era una specie di bresaola a forma quadrata molto buona, confezionata anch’essa sottovuoto.
Sette chili di aglio, qualche scatoletta e, come formato di pane, le friselle calabre. Esclusa l’acqua e qualche bottiglia di vino, la mia cambusa pesava poco più di 100 kg, giusto per una barca di 15 metri. Io pensavo e penso che sia giusto in navigazione mangiare con soddisfazione, senza castigarsi, perché si subiscono già freddo, umidità, mancanza di sonno. Mangiare male sembra proprio una punizione nella vita e anche dal punto di vista agonistico, se stai bene, rendi meglio,” ironizza Pasquale De Gregorio.
La gestione del sonno al Vendée Globe
“Per quanto riguarda la gestione del sonno mi sono attenuto strettamente a quello che Claudio Stampi ci ha raccomandato. Nel corso di un seminario a Plymouth, prima della Ostar, ci ha consigliato, “Dormite come vi pare, seguite il sonno come vi pare. La durata del sonno può essere di mezz’ora, un’ora o due, indifferente se di giorno o di notte. L’importante è rispettare il limite minimo di 5 ore di sonno nell’arco delle 24 ore. Io mi abituavo a dormire di notte in due tranche di sonno e non ho mai usato la sveglia. Quando il rumore di fondo cambiava, mi svegliavo, era uno stato d’allerta naturale ed un’abitudine consolidata anche nel corso di tante navigazioni.
Quindi dormivo le mie 4-5 ore notturne, poi qualche pennichella “romana” dopo pranzo, e sono tornato che stavo benissimo,” racconta Pasquale De Gregorio. “Naturalmente, quando arrivavano le depressioni, all’inizio annunciate, poi registrate solo dal barometro, mi capitava di stare anche 24 ore, quasi completamente sveglio.”
“Infatti, ho sempre messo in guardia altri amici navigatori dal momento di maggior pericolo, secondo me, dopo aver passato il centro della depressione. Il vento comincia a mollare e anche le onde cominciano a calare, ma i treni di onda che si accavallano sono numerosi. Comincia l’onda da nord-ovest, ovest, sud-ovest e qualche volta arriva anche un quarto treno da sud, se il percorso della depressione risale un pochino.
A quel punto il rischio dell’onda anomala, che ti sdraia e magari ti fa scuffiare, è maggiore. Come è accaduto alla Autissier, quando Soldini l’ha salvata,” commenta Pasquale De Gregorio. “Ha scuffiato, pur con la chiglia basculante, e non ci sono state altre onde ugualmente ripide per innescare un altro principio di sbandamento.”
I consigli di Pasquale De Gregorio
Pasquale De Gregorio ancora oggi è un navigatore molto seguito forse perché come afferma lui stesso è “un comune rappresentante di questa categoria”. Per concludere l’intervista, abbiamo chiesto dei consigli che darebbe a chi sogna un cambio di vita come il suo, prendendo la via del mare.

“Un consiglio per chi aspira a navigare è di trovare un giusto compromesso tra l’attenzione da dedicare alla barca e il momento di partire.
Non bisogna rendersi le cose troppo difficili e non serve ricercare la perfezione assoluta, poi si rischia di non partire mai. Infatti, ho visto tanti progetti di navigazione impegnativi rimasti poi abortiti perché l’eccessiva ricerca della perfezione nei dettagli dilata i tempi. Poi se le condizioni di vita cambiano, non c’è più la possibilità, anche volendo, di partire.
La seconda cosa è quella di prepararsi adeguatamente, trovando sempre il giusto compromesso nel fare le esperienze opportune, senza esagerare. Si può imparare a navigare bene anche in Mediterraneo, dove le condizioni sono estremamente variabili e impegnative per i velisti,” ricorda Pasquale De Gregorio.
“Non ci sono forse le lunghe tratte o i venti costanti, come gli Alisei, degli oceani, però ci sono tanti luoghi per sperimentare. Quindi, curare la preparazione, senza rendersela troppo difficile o troppo facile e poi partire, non aspettare troppo, se no si perde il treno.”
Imparare dalle esperienze di altri navigatori
“Ho cercato anch’io di metabolizzare bene in anticipo tutti gli aspetti di rischio per non tornarci più. Una volta partiti bisogna adottare un sano fatalismo, attivo ovviamente, e non stressarsi più di tanto. Soprattutto, ho trovato che lo studio di tutte le avarie sperimentate dai diversi partecipanti nelle precedenti edizioni del Vendée Globe mi è servito molto.
Un esempio è la raccomandazione di non mettersi mai a secco di vele, per quanto possa essere forte la tentazione,” raccomanda Pasquale De Gregorio.
“La barca a secco di vele nel pendio dell’onda può fare anche 20 nodi, poi, quando scende, si ferma. L’onda successiva traversa la barca e un’altra ancora può farla scuffiare perché si trova completamente inerme, è meglio avere sempre un minimo di velocità. Bisogna issare una vela che consenta di avere, terminata la planata, velocità sufficiente a consentire all’auto pilota di manovrare. È importante tenere la barca nel giusto angolo rispetto al vento e alle onde.
Un’altra cosa importantissima è cercare, nel limite del possibile, quando ci sono delle depressioni molto profonde, di non uscire a manovrare in coperta. Se si lavora sul ponte in quelle condizioni il rischio di finire in mare e che la cintura non regga è grande.
Tenuto conto dei paletti da non superare mai, poi bisogna vivere la navigazione senza stressarsi più di tanto,” consiglia De Gregorio. “Ognuno affronta al meglio le diverse situazioni e poi le cose arrivano quando vogliono, non quando ce le aspettiamo.”
Pasquale De Gregorio si è trasferito nel Salento e naviga con la moglie Oriana solo per diletto su uno Ziggurat 995 del 1981. Il navigatore gentiluomo, con il braccio sempre saldo al timone di una vita di mare e avventure.
Grazie Pasquale, buon vento a te e Oriana!
Bibliografia
- Pasquale De Gregorio, “Gli oceani ad ogni costo”, Ed. Nutrimenti
- Pasquale De Gregorio, “Il mio Vendée Globe”, Ed. Incontri Nautici