Esemplari in qualsiasi sport sono sempre i campioni ma nella vela le medaglie più importanti sono la solidarietà e il rispetto per il mare. Naturalmente non potevo che iniziare proprio dalla mia famiglia paterna: per tutti “i Pelaschier”, per me nonno Adelchi, pro-zio Annibale e papà Mauro.

Quindi narrando della vita dei personaggi della mia famiglia non troverete solo il profilo dei velisti italiani. Ma anche qualche aneddoto divertente e sconosciuto degli uomini.
Pelaschier, Pellaschier o Pelaschié
L’annosa questione su quale sia e come scrivere il nostro cognome è sempre aperta, ma chiariamo ora il dubbio. Pelaschier, Pellaschier, Pelaschié: il vero cognome è Pelaschier anche se c’è stato un errore anagrafico di trascrizione nel matrimonio tra Adelchi ed Elda, i nonni. Non Elda Boscarol in Pelaschier, ma in Pelaschiar. Quindi tutti i figli, Fulvia e Mauro e nipoti, come me e i miei fratelli, all’anagrafe sono Pelaschiar.

I Pelaschier vengono conosciuti dal grande pubblico con la partecipazione di mio papà Mauro alla Coppa America nel 1983. Prima Adelchi ed Annibale avevano ottenuto ottimi risultati in tutta Europa ma nell’ambito della vela olimpionica, seguita da una nicchia di velisti italiani appassionati.
Dalle campagne olimpioniche ad Azzurra
Dopo le partecipazioni alle Olimpiadi, fatte per la pura gloria, Mauro inizia a lavorare per un cantiere sul lago di Garda. Per promuovere le imbarcazioni e venderle le porta in regata, fino ad arrivare alla One Ton Cup di Napoli del 1980. L’anno successivo Pasquale Landolfi costruisce il primo Brava, un Vallicelli 44’ con cui papà regata. Ma anche Cino è in contatto con Landolfi che lo aiuta a comprare Enterprise, pensando ad una campagna di Coppa America. Si crea così la connessione tra i due velisti italiani Ricci-Pelaschier e la sfida di Azzurra.

Grandi imprenditori e personaggi si attivano per concretizzare la campagna, con l’appoggio di S.A. l’Aga Khan e Gianni Agnelli. Un Consorzio di diciassette aziende, affidato a Gianfranco Alberini, Luca Cordero di Montezemolo e Riccardo Bonadeo crea la struttura organizzativa.
“Cino mi chiamò per partecipare ai match race in Inghilterra e d’accordo con Landolfi lasciai il Campionato Italiano che stavamo vincendo. L’anno dopo cominciò l’avventura di Azzurra e fu un’esperienza speciale: era la prima volta che un equipaggio italiano si impegnava per la Coppa America. Nelle precedenti edizioni i ruoli di comando come timoniere, tattico e navigatore erano ricoperti da stranieri, di solito anglosassoni.
Mauro Pelaschier e l’america’s Cup
Azzurra fu la prima regata internazionale di match race in cui c’era un equipaggio di soli velisti italiani contro professionisti australiani, inglesi e francesi. Sfidammo anche noi stessi: dopo la Coppa America eravamo altre persone, mettersi in gioco fu terribilmente bello e ci arricchì in modo incredibile.
Era talmente forte la gioia di essere nel gruppo che tutti quanti remavano nella stessa direzione. Quindi fu una campagna facile: venne naturale fare la selezione dell’equipaggio e trovare i ruoli per ognuno. Davamo l’anima per questo progetto, si era formato un bel gruppo e diventammo proprio amici.

Ricordo i tempi degli allenamenti a Marina di Ravenna. Abitavamo tutti insieme in un hotel che doveva essere restaurato ma aveva dato la disponibilità a Cino. Potevamo usare anche la cucina e di notte andavamo a prendere le cozze per farle scotadeo con la pilotina sui piloni del metanodotto. Era proibito ma nessuno ci diceva niente perché noi eravamo quelli di Azzurra: l’accoglienza dei ravennati fu meravigliosa”, racconta Mauro.
Azzurra simbolo di tutta l’italia, non solo dei velisti italiani
Il risultato è incredibile: disputano 49 regate di cui 24 vinte, arrivando in semifinale, terzi nella Louis Vuitton Cup. Azzurra, che già dal suo nome riecheggia i valori sportivi nazionali diventa la barca simbolo di tutta Italia, non solo dei velisti italiani.

Mio nonno Adelchi commentava: “Oggi mi accorgo di essere stato abbastanza duro con Mauro sul mare, perché lo volevo più bravo di me. La più grande soddisfazione per me è quando ha partecipato alla Coppa America con Cino Ricci che ammiro come marinaio e come organizzatore. Ai miei tempi ero contrario al professionismo: correvo in singolo, responsabile solo di me stesso e della barca, ora è diverso.”
La passione di Mauro Pelaschier per la vela
Ma da dove viene la passione di papà Mauro, da dove spunta quel virtuoso timoniere di Azzurra?

La storia dei Pelaschier inizia da nonno Francesco, originario di Pola ancora uomo dell’Ottocento e soprattutto mastro d’ascia e appassionato di barca a vela. Dal matrimonio con Dusolina Morion di Fasana, nascono nove figli (in realtà cinque morirono da bambini) dai nomi veramente particolari. Ines, la prima del 1900, Nazario Sauro, Erminia, Clelia Libera Roma, Annibale Asdrubale, Spartaco, Regina Elena, Adelchi e Fulgida.

Annibale ed Adelchi Pelaschier
Due dei figli di Francesco si appassionano al mare: Annibale del 1912 e Adelchi del 1921. Nel 1926 tutta la famiglia emigra verso Monfalcone a lavorare nel cantiere navale fondato dai fratelli lussiniani Cosulich. Nonno Francesco si fa conoscere e benvolere nonostante le sue tendenze politiche contrarie al regime e Annibale quattordicenne entra in cantiere come carpentiere.

Nel quartiere nascono anche uno stadio di calcio nel 1928 e la Società Vela Oscar Cosulich, conosciuta da tutti come la Vela, nel 1933. Questo polo nautico è catalizzatore di giovani di grande passione e talento e i fratelli Pelaschier entrano presto nel novero dei velisti italiani.
Il nonno Adelchi Pelaschier
Il nonno Adelchi ricorda, “Avevo 18 anni quando vinsi il titolo tricolore su una barca costruitami vela compresa da mio padre operaio. Correvamo sei prove a Capodistria , dove naturalmente andai in barca da solo. Ricordo la mia soddisfazione nel battere tutti, compresi i forti napoletani che a Capodistria erano da giorni per allenarsi con tanto di seguito. Telefonai a mio padre a Monfalcone, perfino e fra tutti e due fu una gioia che poi io non ho più provato in questa misura. Anche se ho vinto altre regate in seguito.”
Ma un’altra guerra incombe sulla famiglia e sull’Italia: il quartiere di Panzano viene bombardato ma intanto a nonno Francesco viene affidata la gestione della Vela. Dopo il conflitto Francesco muore ma il resto della famiglia resta alla Vela a gestire il marina ed il bar. Dal 1948 inizia l’età d’oro dei velisti italiani della SVOC, fucina di talenti, che in trent’anni manda sei atleti alle Olimpiadi. Del resto si può capire che praticare uno sport ed eccellere equivaleva anche a viaggiare ed evadere da una dura realtà di lavoro in cantiere.
Due scelte, dragoni e dinghy
Annibale ed Adelchi non regatavano mai insieme: il primo prediligeva i dragoni e regatava con Sorrentino e il nipote Trevisan. Mentre Adelchi era un singolista sui Dinghy e poi Finn.

C’è solo una regata condivisa che ricordano: Annibale e Sorrentino hanno appena concluso una regata in Francia e sono iscritti ad un’altra in Danimarca. “L’altro prodiere non era disponibile e così chiamarono me (Adelchi) per fare la regata e il trasferimento via mare. Prendemmo una burrasca con mare formato, imbarcando acqua e rompendo delle vele e per la notte ci fermammo in un paesino sperduto. Quando i paesani si svegliarono e videro quella barca con cerate e vele messe ad asciugare si avvicinarono per curiosare ed aiutare.
Visto che non sapevamo la lingua, Annibale tirò fuori una damigiana di vino e io mi misi a suonare la fisarmonica”. Così rimangono un paio di giorno in questo paesino: le donne ricuciono le vele e gli uomini li aiutano a riparare la barca. Diventano gli eroi locali e i velisti italiani più famosi del Nord Europa grazie all’allegria del vino e della fisarmonica.

I Pelaschier da sempre amano divertirsi ma poi sui campi di regata vanno forte con uguale impegno e passione.
L’oro di Adelchi in Portogallo
Il 1958 è un anno importante per Adelchi: al Campionato Europeo in Portogallo a Lisbona vince l’oro. La sua abilità lo porta ad interpretare bene la corrente, mentre altri velisti non riescono nemmeno ad arrivare al traguardo. Nel 1975 fa il bis con un bronzo al Campionato Europeo a Palamós. Gli vale il titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana per meriti sportivi. Anche Annibale nel 1978 riceve lo stesso onore, importante riconoscimento per tutti gli atleti non solo per i velisti italiani.
Sempre nel 1958 nonno Adelchi partecipa alla Finn Gold Cup a Zeebrugge in Belgio. Ottiene una medaglia di bronzo terzo classificato dopo i mitici Paul Elvstrøm e André Nelis. Da quella volta ad ogni regata Paul portava tre delle sue vele e due le regalava ai suoi avversari amici Nelis e Pelaschier. Solo Luca Devoti quarant’anni dopo, nel 1997 riesce ad ottenere un’altra medaglia per l’Italia, ed è un argento.
A volte la vita dei velisti italiani che girano l’Europa a quei tempi riserva delle “reali” sorprese…
Annibale Pelaschier: un valzer col mare, uno con la principessa
Memorabile l’aneddoto di pro-zio Annibale durante un ricevimento alla Corte di re Paolo I di Grecia, Presidente dell’Associazione Dragoni. Annibale quando intonano un valzer si avvicina ad una ragazza carina, seduta vicina al re e la invita a ballare.
Lei accetta dopo l’approvazione del padre e i due ballano un lungo valzer. Solo alla fine della festa il suo timoniere lo interroga: “Ma sai con chi hai ballato?” E lui: “Con Sofia, mi sembra di aver capito che si chiamasse Sofia”. Si proprio con la Principessa Sofia di Grecia e Danimarca che qualche anno più tardi sposando Juan Carlos sarebbe diventata la regina di Spagna.

Adelchi è in Norvegia per un Campionato e c’era sempre un signore anziano che arrivava prima della partenza in bicicletta con le mollette sui pantaloni. Aiuta i regatanti a mettere in acqua le barche, riordina i carrelli e quando rientrano collaborava sempre all’alaggio delle barche. Il nonno immagina che sia un personaggio conosciuto perché tutti lo salutano e gli riservano onore e riconoscenza.
Quando chiede chi sia rimane sorpreso a scoprire che è niente meno che re Olaf V di Norvegia. Un sovrano illuminato detto anche “re del popolo”: dalla sua incoronazione guidava personalmente la sua automobile sulle strade pubbliche. Quando gli chiedevano come potesse viaggiare liberamente, rispondeva che